La riedizione di dicembre è in
assoluto il mio più bel libro pubblicato
La 2ª edizione stampata a giugno [del 2023; n.d.r.] del mio 6° libro già di per sé era il mio lavoro fatto meglio. In seguito, metà anno dopo (ossia a dicembre), ho fatto una riedizione di essa diventando ancora molto più bella e aggiungendo altre 4 pagine. Infatti, adesso ho modificato l’intero libro rivoltandolo come un calzino. Come a volte capita nel mondo editoriale, dopo la prima sfornata ci ho lavorato ancora tanto – caratterialmente sono incontentabile e voglio sempre il massimo da me stesso – e il risultato, lasciatemelo dire, è diventato fantastico: me la godo, abbiate pazienza ma… quanno ce vo’ ce vo’. La riedizione di fine anno è migliorata notevolmente rispetto al lavoro svolto all’inizio dell’estate, diventando il mio lavoro editoriale uscito più ben fatto in assoluto: ora è il mio fiore all’occhiello. Del resto è solo questa pubblicazione che, adesso, m’interessa di più diffondere… mentre gli altri libri appartengono al mio passato di cui me ne sono distaccato, disinteressandomi della loro sorte (e sono perfino disposto a regalarli, a patto però che mi si acquistino le copie rimaste di quello pubblicato a giugno, invece per quello con 568 pagine si leggano le modalità nella Scheda Tecnica che segue). V’invito a dare un’occhiata su come sia stata modificata l’impaginazione: guardate questo Blog e fatelo scorrere a mo’ di rullo verso il basso, così vi appare gran parte del lavoro grafico. Ciò che qui di seguito si vede è uguale preciso a quello che è in vendita e che si può richiedere da Youcanprint, insomma la parte interna del libro adesso in vendita è al 100% simile a ciò che c’è in questa impaginazione grafica. In concreto c’è stato un altro aumento di pagine, passando dalle 564 dell’estate alle 568 della riedizione dicembrina.
Si è giovani finché si è capaci d’imparare, dice un vecchio detto che io ho preso alla lettera perché amo imparare… tuttora. Non penso di dire una cacchiata quando sostengo che oggi io scriva meglio (e non di poco) rispetto ad anni fa. Sono dell’idea che la mente vada sempre tenuta in allenamento, ed è un grosso errore smettere di farlo dopo il percorso scolastico perché altrimenti si rischia che poi affiori qualche nuova lacuna che magari prima era sconosciuta. La mente è come il corpo umano: entrambe le cose se non sono stimolate s’impigriscono e perdono di efficienza.
Tuttavia, c’è una nota dolente: la cosa anomala è che tra i miei libri pubblicati quest’ultimo (in particolar modo la riedizione) è – come ho detto – senza alcun dubbio il migliore… eppure è nel contempo quello che vende di meno: me ne faccio una ragione. Dipende forse dall’eccessivo numero di pagine e il conseguente aumento di prezzo rispetto alla 1ª edizione? Può darsi, ma non solo. Sì, lo so, per evitare la linea fallimentare dovrei promuoverlo qua e là come fanno tutti, ma io sono un cuor contento e non mi va di sbattermi troppo, anche perché in queste dinamiche sono sempre stato uno svogliato. E rivolgermi ai “Vespa Club”? Non fa per me essere coinvolto in certi eventi aperti al pubblico, dove si intuisce subito che lì nessuno, tra i possibili acquirenti, spenderebbe oltre i 22 euro per un libro. Lì va bene per chi ha da proporre un libro che tratta esclusivamente dei viaggi in Vespa, diventando quindi un argomento incollante tra i vespisti presenti. Per me è diverso, perché il mio libro parla non solo della Vespa ma di tante altre cose e quindi può interessare di meno nei vari Vespa Club. Diciamoci la verità: come potrei proporre un libro di 34 euro, scontandolo magari a 25 o a 24? Lì non è il mio posto adatto, ed è per questo che io veda con più ottimismo altre soluzioni. Dovendo eventualmente scegliere, nel mio caso penso che mi convenga di più fare la presentazione in una bella libreria o in una biblioteca, anziché in un locale adibito a ristoro o pizzeria: le mense e i banchetti sono l’ideale per chi ha da proporre libri con i prezzi medio-bassi, per me invece sarebbero un fiasco. È vero che gli appassionati esulano da questo cliché, non facendosi condizionare dai costi, e sono disposti a spendere anche cifre importanti superiori ai 30 o 50 euro, ma di certo è difficile trovare queste persone nei Club dove, nella gran maggioranza delle situazioni, solo quando si chiedono cifre assai abbordabili si coinvolgono perfino i non appassionati, gente che nella normalità non avrebbe mai comprato alcun libro. È una questione di prezzi di copertina: quelli con le cifre basse li comprano un po’ tutti, mentre quelli con i prezzi più alti li prendono solo gli appassionati ed è ovvio che sia così. E questo mio libro è tagliato fuori in partenza in tanti posti, proprio perché non è economico. In conclusione non ho tutta questa smania di fare le presentazioni del mio libro. È chiaro che da parte mia sia sbagliatissimo e controproducente comportarmi così, anche perché i libri si vendono se si promuovono… altrimenti nisba. Non si vende ciò che non si mostra, e se non si mostra non si ha mai un tornaconto sia economico sia d’immagine: è risaputo. Evitando le promozioni aperte al pubblico, quelle accompagnate da offerte culinarie, è inevitabile però che alla resa dei conti questo libro diventi un buco nell’acqua… con le vendite ridotte all’osso, anche se mi auspico che alla lunga le cose migliorino. Mi pento quindi di averlo fatto? Assolutamente no, giacché non potrò mai pentirmi di aver realizzato una cosa cui ci tenevo tantissimo: d’altronde i soldi vanno e vengono e preferisco spenderli così, tenendo attivo il cervello, anziché farlo oziando al bar. Pertanto, seppure sono in perdita lo rifarei di nuovo, in quanto desidererei che quest’ultimo lavoro diventi – mi si permetta la baldanza – il mio lascito quasi culturale. Sono da ricovero? Boh.
Io non sono una persona normale, basti pensare che ho abbandonato al suo destino la ‘Vespa 200 Rally’ (la mia Gigia) con la quale andai in India: una cosa che non fa nessuno… ma io – ripeto – non sono mai stato un tipo normale. Eh, già; il mio comportamento, il mio distacco verso il mezzo che ho usato. Mi si dice che io sia l’unico ad agire così… fregandomene. Beh, considero i veicoli delle semplici macchine e non anime da venerare e da ostentare: in un’officina meccanica di Rovellasca (un paese vicino alla mia nativa Cermenate) ho abbandonato la Gigia, quando chiunque altro al mio posto l’avrebbe vezzeggiata e custodita come un cimelio. Io, però, sono disinteressato all’attaccamento delle cose, al senso del possesso: sono fatto così e non mi pongo il quesito se ciò sia un bene o un male perché non m’importa. Come non m’importa collezionare scooter antichi (e ingombranti) solo per tenerli in bella mostra, seppur non funzionano. Io voglio motocicli vivi, da poter ancora usare, mentre per quelli morti è meglio che vada a vederli altrove.
Comunque, se me ne frego di tenermi stretto la mia Gigia… figuriamoci se consideri importante la promozione di un mio libro: lo fanno le persone normali, ma io non lo sono. Ho le mie paturnie, non seguo le regole del “così fan tutti”, ho un gran brutto carattere e non è facile avermi accanto. Dipende forse dal fatto che all’età di quattro anni mi persi a Bergamo? Ero dalla bàlia, e dovevo portare una busta d’insalata verso la casa vicina. Solo che anziché andare a sinistra, svoltai a destra e così mi smarrii. Vagai per il centro della città, con il sacchetto d’insalata che un po’ si perse lungo il cammino... ma fui tranquillo. Poi mi raggiunsero due carabinieri con le proprie moto, ma io non volli salirci sopra e quindi dovette arrivare una macchina dei carabinieri per portarmi finalmente dalla bàlia. Rompevo già le scatole a quattro anni, a quanto pare; quindi non potevo crescere come tutti gli altri: non avrei potuto essere normale,
non c’erano le premesse.
Adesso rispondo a una domanda che mi è
stata fatta da più persone, ossia perché un Lettore dovrebbe essere
ispirato a comprare questo libro? Come ho detto all’inizio, ribadisco che
questo è il mio migliore pubblicato, il più bello, essendo un armonioso
groviglio di tutti gli altri miei pubblicati e con le innumerevoli modifiche
certosine che lo arricchiscono. Grazie all’esperienza acquisita questo è il più
completo e il più curato… di parecchio rispetto a prima. Non farò altri
libri sui viaggi perché questa è la mia opera omnia; è il massimo
che io possa fare, più di così non ne sarei capace. Insomma, raggruppa mezzo
secolo della mia vita ed è perciò quello più rappresentativo, il mio ultimo che
parli di viaggi, di conseguenza non ho potuto evitare di mettere tanta legna
sul fuoco perché non ha senso ridurlo. Ho sempre amato i viaggi, sin da quando
ero giovane, deciso a licenziarmi quando il datore di lavoro non mi concedeva
dei mesi di permesso non retribuito, nella speranza di trovarne un altro al mio
ritorno (cosa che, però, non sempre succedeva). Ma io volevo andare in India
con la Vespa (e starmene via senza date da rispettare, al punto che in quel
viaggio stetti lontano dall’Italia undici mesi), o starmene via sette mesi nel
Sud America… e di conseguenza, senza tentennamenti, non avevo alternative che
dire addio ai miei posti di lavoro, oppure ottenere permessi non retribuiti (ma
in questo caso solo in un paio di occasioni è stato possibile farlo, perché di
norma non è mai concesso). Ovunque ho ricevuto calorosa ospitalità e aiuti da
parte dei nativi, ho familiarizzato con una moltitudine di persone... alcune
delle quali sono poi venute a trovarmi in Italia.
Oltre ai viaggi (quello in India e il Cammino di Santiago compresi) faccio pure delle analisi, che
io penso possano essere una miniera d’informazioni accompagnati, mi auspico, da
una buona lettura. Alla domanda fattami potrei rispondere in maniera sbrigativa
con il dire che questo libro non parla solo di viaggi, ma anche di altro:
infatti, c’è un capitolo finale in cui c’è perfino un racconto filosofico per
adolescenti, che potrebbe incuriosire. Non solo, oltre ai racconti di
esperienze di viaggi, che sono pur sempre il piatto forte, in queste pagine ho
voluto rimarcare una mia filosofia di vita che va al di là del girare fisicamente
il mondo, bensì vuole essere pure un mio viaggio introspettivo.
Ed io, quanto ci guadagno per ogni copia comprata rivolgendosi a Youcanprint? Non ho segreti: mi spetta 1,70 euro a copia (il 5% del prezzo di copertina) per le vendite fatte fuori dalla loro sede [librerie, Amazon, sagre, raduni, eccetera]; se invece si comprano sul sito di Youcanprint il mio guadagno sale a 5,10 euro per copia (il 15% del prezzo di copertina).
L’invidia è una
brutta cosa
Sempre più spesso capita che dei motociclisti m’inviano messaggi da far rizzare i capelli. C’è chi dice che per viaggiare ci vuole una certa disponibilità economica; per stare un anno con le palle al vento o sei ricco di famiglia, o comunque non hai bisogno di conservarti un posto di lavoro, che in pratica è la stessa cosa. Oppure vivi di sponsor, che è un’ottima alternativa, ma ti servono conoscenze o un certosino lavoro di contatti. Quindi sì: tutto bello, ma le favole teniamole buone per i nipotini alla domenica. C’è anche chi mi scrive che dev’essere bello non avere un cazzo da fare nella vita. E ce ne sono altri su questo tono: io vorrei avere a che fare con veri centauri, non con quelli della domenica. La cosa più stupida è sentirmi dire che io non do niente al pianeta e alla società. Eppure con questo “so tutto io” sarei disposto a fare una scommessa, con questa semplice domanda: «Alla fin fine chi di noi due ha lavorato di più?» Nonostante le mie lunghe interruzioni ne ho fatti parecchi di anni lavorativi, e lui? Comunque di gente mentalmente pigra, che ha sempre mille scuse pronte, ne faccio volentieri a meno. Ancorandomi ancora al discorso economico (che sembra l’unica cosa che interessi a parecchia gente sedentaria), rivelo che non ho mai acquistato un’automobile nuova, bensì le prendo sempre di seconda mano e le sfrutto fino al limite. Una vettura nuova mi sarebbe costata l’equivalente di una dozzina d’anni di viaggi. Intendo dire che è importante la scelta di vita che uno si prefigge; è ovvio che si deve scartare qualcosa. Rinuncio a delle cose, che non reputo indispensabili, e ciò che risparmio nell’evitare quelle spese superflue… le metto in scelte che ritengo più gratificanti. Certo, se per fare i vecchi viaggi illimitati nel tempo (tanto amati) non fossi ricorso ai vari licenziamenti – oltre ai mesi pagati senza contributi in Iran e ai permessi non retribuiti ottenuti in un paio di occasioni – sarei andato in pensione quattro o cinque anni prima. E invece ci sono andato nell’aprile 2017 (all’età di 65 anni con 43 di contributi, quindi a quota 108… tanto per capirci). Tuttavia, nonostante la grande fregatura subìta, non rimpiango affatto le mie scelte.
Intendiamoci, a volte può essere come dicono, ma non sempre è così. Ciò che davvero occorre è la determinazione e l’adattarsi a ogni cosa, compresi il mangiare quel che capita e il dormire all’aperto. Tutto il resto è superfluo. Ah, un’altra cosa: in quegli anni non c’era internet (oggi talmente indispensabile, che se non c’è diventa impossibile viaggiare). Ripeto: i soldi non sono la cosa principale per fare lunghi e avventurosi viaggi, lo è molto di più la forza di volontà e soprattutto il non piangersi addosso. Vista la mia età, non sopporto il modo superficiale di analizzare le cose: le solite scuse adottate da chi, in realtà, non vuole rimboccarsi le maniche e quindi rinuncia di andare… verso la scoperta del mondo. È vero che, come la si giri, una certa disponibilità economica occorra… ma assai meno di quanto si pensi. Perché? Semplicemente perché per viaggiare serve la filosofia della coperta corta: ne faccio a meno dello smartphone di ultima generazione e di altre cose, per far fronte ad altre che interessano di più. È chiaro, però, che se non si rinuncia a niente, o si rinuncia a poco, alla fin fine diventa tutto più complicato. Ma allora a questo punto pongo una domanda: «Che cosa davvero interessa?». Ognuno qui risponda come crede, ma che sia sincero. Di tutti i miei viaggi, e ne ho fatti un bel po’ in quattro continenti, non ho mai speso cifre folli… mai. Negli anni Settanta feci quel viaggio in Vespa verso l’India e il Nepal, standomene via 334 giorni... eppure non sono mai stato ricco (né io né la mia famiglia), e non ho mai utilizzato uno Sponsor.
C’è chi mi fa notare che il mondo sia cambiato assai rispetto agli anni Settanta, dicendo che attualmente è impossibile abbandonare il proprio lavoro e sperare di trovarne un altro al ritorno dal viaggio dei sogni. Si dice che in proporzione i salari a quei tempi avevano un valore che ha permesso a quella generazione di fare risparmi, comprarsi un alloggio, alcuni perfino le case di vacanza, si acquistava con una relativa facilità un’automobile, elettrodomestici e altro. Il fatto stesso con cui io riuscivo poi a recuperare un lavoro è una prova di quanto i tempi fossero diversi, e in meglio a suo avviso, almeno di sicuro sotto questo aspetto. Mi si spiega che adesso non c’è la stessa offerta lavorativa di cinquant’anni fa, né la stessa onestà intellettuale dei datori di lavoro, né la buona fede delle istituzioni. Aggiungendo che licenziarsi e star via un anno a spese proprie si poteva fare quando ero giovane io e questa cosa era molto più fattibile per la maggior parte delle persone. Oggi – continua – tipi come me siamo la rarità, perché oggi non si riesce ad andare economicamente oltre la settimana di viaggio. Capisco questa frustrazione e non ho niente da obiettare: si dicono cose giuste e sacrosante. Tuttavia, in quegli quegli anni non mi sembra di aver notato chissà quanti altri miei coetanei pronti a licenziarsi per intraprendere viaggi di ogni genere: io non ne ho conosciuto nessuno che l’abbia fatto. Perché altri no? Se fosse stato così facile, come mai non ho visto altri miei coetanei a fare altrettanto? È tutto qui il quesito, non tanto l’epoca. Se si vuole risparmiare, necessita uscire dall’Europa: si è disposti a farlo?
Si consideri che negli anni Settanta dell’altro secolo, ossia proprio quando mi licenziavo più volte per viaggiare, ci fu una fortissima crisi lavorativa che causò la chiusura di parecchie fabbriche. Parlo del quinquennio che va dal 1973 al 1978, con il periodo iniziale condito dall’austerità a causa della crisi energetica. Ripresomi a fatica dopo la caduta sulla strada dal ritorno da Capo Nord, la mia urgenza era di trovare subito un posto lavorativo provvisorio… perché avevo la mente già proiettata nell’immediato futuro. Ammetto che in questo caso non ci furono problemi per essere assunto, dapprima in forma provvisoria e dopo a tempo indeterminato. Andava benissimo per lo scopo che mi ero prefisso: lavorare qualche mese e poi partire. Era una cosa che mi tenevo ben stretta, senza far sapere niente a nessuno soprattutto sul posto di lavoro per non complicarmi la vita. Dopo essermi licenziato da una litografia al termine di sei anni lavorativi, mi sono quindi licenziato di nuovo dopo nove mesi alle dipendenze di una famosa ditta alimentare del tonno (sempre a Cermenate, dove c’è tuttora). Avevo nella testa l’India e volevo andarci senza essere condizionato dall’esiguo periodo di ferie. Ricordo che mia madre non era affatto contenta di questa mia decisione, e tra noi ci furono accese discussioni, ma alla fine si era dovuta adattare ancora una volta alla mia determinazione. Il difficile, semmai, per me è stato al ritorno dall’India dopo essere stato via undici mesi.
Io mi licenziavo, certo, ma non era così automatico che trovassi un buon lavoro al mio rientro in Italia… e, infatti, al ritorno dall’India vissi più di sedici mesi senza riuscire a trovare alcunché, tranne lavoretti saltuari. Non sempre andava bene. Per avere un’idea di quel periodo, c’è da tener presente che dall’India tornai il 20 luglio 1978 e ho dovuto attendere fino al dicembre 1979 per riuscire finalmente ad avere un posto di lavoro stabile e neanche ben retribuito. In definitiva, qual è la principale differenza tra adesso e allora? In quegli anni, anche nei periodi di crisi più neri e con l’inflazione galoppante (e inarrestabile) di circa mezzo secolo fa c’era un ottimismo verso il futuro, che invece oggi non c’è. Ecco, questa è la differenza che più mi colpisce: allora la crisi durò quasi sei anni, oggi invece – che è iniziata nel 2008 – non si sa quando finirà… almeno in Italia. A questo proposito va detto che l’attuale crisi è mondiale, ma l’Italia ne ha anche una interna, quella fiscale.